In attesa di chiare notizie positive sulla Pandemia, che ancora non ci sono, che darebbe inizio alla fase di ripresa economica e delle borse, parliamo della questione che più di tutte interessa l’opinione pubblica, ovviamente dopo il Coronavirus: la moneta unica ha portato o no benefici all’Italia?

La risposta breve è sì, non ci fosse stato l’Euro e la Banca Centrale Europea in questi ultimi 20 anni, saremmo qui a raccontare di un’altra Italia, molto più vicina all’Argentina che alla Gran Bretagna. Colpisce molto il recente sondaggio che indica nel 49% la percentuale di italiani favorevoli al ritorno alla Lira. Questa percentuale è superiore a quella inglese pre referendum Brexit, per dire.

Prima di argomentare quanto detto sopra con l’ausilio di alcune tavole pubblicate da “Il Sole 24 Ore”, togliamo subito l’elefantone dalla stanza: la Germania ha una grande colpa, quella di aver permesso un deficit commerciale a suo favore enorme a cui corrisponde un credito altrettanto significativo verso i paesi con un interscambio negativo, l’Italia soprattutto. Questo squilibrio verrà corretto solo e quando si deciderà di passare al federalismo finanziario (anche quello politico ma non vorrei passare da sognatore). Sino ad allora, la situazione non cambierà e se continueremo a mandare a Bruxelles politici di basso livello non avremo possibilità di modificare minimamente quella che è l’impostazione oggi data alla Unione Europea.

  • Disoccupazione, prima in forte calo, poi è ripresa a salire

I tassi di interesse relativamente bassi, forse più bassi di quanto le condizioni dell’economia italiana richiedessero, hanno sicuramente aiutato la nostra economia ma, come vedremo più sotto, il Paese non ne ha approfittato per introdurre quelle misure di riduzione del debito pubblico preferendo utilizzare il beneficio per meri fini clientelari.

Immediatamente dopo l’ingresso dell’Italia il paese ha beneficiato più di altri del un forte calo della disoccupazione, scesa da persistenti livelli superiori all’11% fino a un minimo del 5,8% nell’aprile del 2007. Poi, una decina di anni dopo è arrivata la recessione del 2008/09, che ha riportato la disoccupazione a livelli elevati. A quel punto l’Italia non è stata più in grado di recuperare, malgrado tassi a zero e quantitative easing della Banca Centrale.

  • Produttività stagnante, grande problema italiano.

Il grande problema italiano, oltre al debito pubblico, è la produttività, stagnante da tempo, che costringe quindi anche i salari reali a restare fermi. Il problema viene da lontano. Dati che misurano la capacità di un Paese di “mettere insieme” in modo efficiente capitale e lavoro (e quindi soprattutto innovazione tecnologica e competenze dei lavoratori), mostrano un lungo rallentamento, dopo la crescita del periodo del “miracolo economico”, una lunga fase di stasi e poi una ripresa della decelerazione che ben presto si trasforma in una vera e propria marcia indietro in coincidenza dell’introduzione dell’euro quando, secondo alcune analisi – a cominciare da quelle del capoeconomista del Fondo monetario internazionale – un costo del credito troppo basso ha mantenuto in vita, nel nostro Paese come in altre economie del Sud Europa, aziende inefficienti che sarebbero altrimenti fallite. Non è certo questo l’unico fattore di freno alla produttività, ma sarebbe sbagliato sottovalutarlo.

 – Export in crescita, nonostante tutto.

Non si può dire, però, che abbia sofferto la “competitività” dell’Italia (ammesso che questo concetto abbia senso per un’intera economia). Le esportazioni, in volumi, sono infatti aumentate, a un ritmo medio dello 0,9% mensile prima della crisi e dello 0,85% nel tormentato periodo successivo.Segno che le aziende italiane aperte alla concorrenza internazionale sono in grado di competere senza grandi difficoltà malgrado l’assenza di una moneta e cambi nazionali.

 

  • Inflazione sotto controllo

L’ingresso nell’euro, con la conseguente “cessione” alla Banca Centrale Europea, del compito di gestire la politica monetaria ha portato a una forte flessione dell’inflazione. La dinamica del costo della vita, prima della grande recessione, è rimasta un po’ più vivace rispetto alla media di Eurolandia – un altro segnale, forse, di tassi troppo bassi – ma non si è mai tornati ai livelli precedente.Un buon risultato per lavoratori dipendenti (l’inflazione, oltretutto, morde di più chi è meno abbiente) e risparmiatori.

  • Basso costo del credito

A ottobre 2008, con i prezzi surriscaldati per il rialzo del petrolio, il costo del credito aveva raggiunto il livello abbandonato a fine ’98, ma nulla di più. Meno lineare l’andamento dei tassi reali, soprattutto nel periodo 2012-2017, ma in questo caso è ancora più evidente che il costo del credito è rimasto a livelli inferiori a quelli del periodo pre-euro. L’ingresso in Eurolandia ha anche permesso alle banche di concedere alle imprese prestiti a tassi decisamente più bassi rispetto al periodo precedente.

  • Rendimenti in calo

L’andamento di tassi bancari e prestiti è sicuramente legato a quello dei rendimenti dei titoli di Stato, che costituiscono un “pavimento” per il costo del credito. L’ingresso nell’Euro ha visto una flessione dei rendimenti dei decennali, che per diversi anni hanno oscillato tra il 4 e il 5% circa, per poi risalire fino a sfiorare il 6% durante la crisi del debito sovrano, che ha visto l’Italia particolarmente vulnerabile. Nel periodo precedente l’ingresso in Eurolandia, ed escludendo la fase finale di convergenza, i rendimenti dei decennali non erano mai scesi sotto l’8,8%. Prima della Grande recessione, l’Italia ha anche goduto di uno spread con i Bund decennali vicinissimo allo zero, salvo poi assistere a una sua impennata con la crisi. Fuori dell’euro lo stesso differenziale non era mai calato, nelle medie mensili, sotto quota 257.

  • Debito nazionale continua a salire

Gran parte delle polemiche contro Bruxelles riguarda però la gestione della spesa pubblica. Si è parlato spesso di austerità, ma di questa non vi è traccia. La spesa pubblica in Italia ha continuato ad aumentare a un ritmo invariato fino alla Grande recessione, quando il limitato spazio fiscale e il nervosismo dei mercati ha imposto il rallentamento. Nei dati annuali – rilevati però ogni trimestre – si è assistito in alcuni casi a una flessione, ma si è sempre trattato di eventi isolati, prontamente corretti, mai di una tendenza.

  • Ci può essere crescita economica a debito?

In un paese dove tutti sono ingegneri strutturali, epidemiologi e politologi, non sorprende che il dibattito pubblico si fonda tutto sull’idea sbagliata che il deficit statale sia un fattore di crescita economica. In realtà non è così: le politiche fiscali possono sostenere la domanda durante le recessioni e poco più. Anche a uno sguardo superficiale del grafico sopra, il rapporto tra il disavanzo e la variazione del Pil mostra che aumentando il deficit la crescita annua del Pil diminuisce. La spesa pubblica può dunque avere una funzione sociale, mentre il modesto mondo politico può illudersi che abbia anche un ruolo nelle elezioni. La crescita è però figlia di lavoro, capitale, tecnologia, competenze, e un ambiente (anche aziendale) favorevole.

In conclusione

  • L’Euro è stata la grande occasione che l’Italia non ha sfruttato dimostrando tutta la modestia della classe politica e dell’opinione pubblica che, in ultima analisi la vota. Tra i punti discussi sopra, solo due sono negativi, Il Debito Pubblico e la Produttività, e di questa criticità risulta perlomeno arduo darne la colpa all’Euro
  • La Germania e i Paesi Nordici hanno delle colpe, anche se forse inferiori alle nostre. L’unica via di uscita è un rilancio del federalismo finanziario e fiscale. Super semplificando, un ministro delle finanze europeo che decida le politiche fiscali e finanziarie della UE, come negli USA. Sarà così possibile e conseguente il superamento dei deficit dei singoli stati e il passaggio al bilancio europeo.
  • Difficile mettere in comunione i debiti mantenendo la possibilità di salvare Alitalia ogni due anni e spendere 140 mln di euro per la costruzione di 4 ospedali in Calabria dei quali ancora non è stato aperto neanche un cantiere. Mutando i ruoli, voi lo fareste?

Maurizio Morolli

14 aprile 2020